Tanto tempo fa, ci rimasi male. Ero in macchina, portato chissà dove da mia madre. Ci rimasi male perché la maggior parte delle cose che vediamo ce le dimentichiamo. Ci rimasi male perché l'edificio della memoria era mal progettato, e piuttosto fatiscente. C'erano delle stanze che, per quanto cercassi, non riuscivi più a trovare. C'erano stanze con porte difettose, e c'erano stanze ingannatrici che conservavano ricordi di cose mai accadute o accadute diversamente.
Ero in macchina con mia madre e ci rimasi male perché la maggior parte delle cose che vediamo ce le dimentichiamo. Allora decisi di ricordarmi per sempre qualcosa che altrimenti sarebbe scomparso dalla mia vita. Un capriccio lecito per un bambino di otto anni. Ero arrabbiato con la memoria. Come si permetteva di dimenticare? A volte contro la mia volontà per giunta. Che diritto ne aveva? Mi guardai intorno, non troppo intorno in effetti: fissai gli occhi sulla macchina davanti a me. Lessi la sua targa e decisi di ricordarmela, per sempre. Avevo sfidato la memoria.
Mi chiedevo se sarei riuscito a ricordarla davvero. Quante erano state le cose che mi ero promesso, senza mantenere, di ricordare? Quante cose ben più utili avevo dimenticato? Decisi di riportala alla mente ogni tanto, per togliere la polvere dalle lettere e dai numeri che altrimenti sarebbero diventati illegibili. Iniziai a custodirla con cura in qualche camera della memoria.
Ora, però, di quella targa non so che farmene. è già un po' che ho deciso di non spolvelarla più, nella speranza che briciole e pezzi di ricordi che si sgretolano la ricoprano. Così che lo spazzino, passando di tanto in tanto a mettere in ordine, la porti via senza farci caso, la getti sbadatamente nel mucchio della spazzatura. Invece è ancora lì. Come se, al contrario, lo spazzino, obbediente al bambino di otto anni, passi ogni giorno solamente per lei, dia una lustrata a quella targa appesa ben in vista sul muro, mentre ricordi spezzati sono ammucchiati sul letto, altri sono diventati polvere fra le pagine dei libri, tacendo-necessariamente- di quelli portati via attraverso la finestra aperta dal vento, entrato e uscito come il ladro che è stato.
Così quando giro per quel fatiscente edificio in cerca di qualcosa di importante, quando mi chino a terra cercando sotto il tappeto, o salgo su una scala per cercare tra le pagine dei libri, sporcandomi e trovando nient'altro che cenere, briciole e polvere, l'occhio non può fare a meno di cadermi su quella targa, su quei numeri e quelle lettere nere su sfondo bianco. La cera passata dallo spazzino le dà un tocco decisamente pacchiano.
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