giovedì 6 ottobre 2011

La memoria poetica

Da quando ho letto l'insostenibile leggerezza dell'essere posso dare un nome a certi ricordi. Infatti Kundera parla di una memoria poetica, quella che registra ciò che ci affascina, che ci commuove, che rende bella la nostra vita. Vi racconto una storiella. Ero all'università, a seguire un convegno che un professore ci aveva caldamente consigliato durante le  sue lezioni. C'erano quindi molti miei compagni di corso, alcuni li conoscevo di persona ("eih, ciao come stai? visto che robba 'st'università? pare 'n'ospedale! poi boh, 'sto sole non scalda."), altri di vista- e li riconoscevo- ("ciao..."), altri non li ricordavo pur avendoli visti ("hai visto chi c'è?", "chi, quello?", "eh!", "beh chi è?", "dai, l'avrai visto un milione di volte."). Durante la pausa parlavo con una persona che conoscevo di vista, e che ricordavo. Ad esempio (uno dei tanti che potevo fare), e glielo ricordai, eravamo seduti vicini quando, l'anno prima, avevamo sostenuto insieme un esame scritto, e mi ricordavo anche che mi chiese la risposta di una domanda. Anzi, che io suggerii quella risposta a quella domanda. Non si ricordava di quell'esame, nè di me. Non pensai che la memoria poetica ricorda ciò che ci affascina, che ci commuove. Non pensai che raccontandoglielo mi stavo esponeno. Non avevo alcun motivo per ricordare quell'insignificante evento di così tanto tempo fa. Era normalissimo dimenticarsene e così era successo a lei.

-"oh mio dio, ma come fai a ricordarti queste cose?"
é la memoria poetica. Così avrei dovuto risponderle otto mesi fa.

giovedì 29 settembre 2011

150 anni portati male

- Che studi?

- Il ruolo dei poeti nel Risorgimento.

- Ah-ah...e che facevano? andavano a combatte?

Tanto siamo pure in tema perché è ancora 2011, e quindi ancora centocinquantesimo anniversario dell'unità d'Italia. Perché l'Italia, nonostante tutto, è unita. Ancora.
Okay, ci può stare che i letterati (poeti, scrittori, ma anche studenti di lettere e insegnanti) siano presi poco in considerazione quando si tratta di affrontare problemi pratici, che vanno dall'aggiustare una lampadina a combattere una guerra. Però c'è stato un periodo in cui non è stato così, e non tutti lo sanno. Durante il risorgimento non lo è stato. Molti poeti, ora poco conosciuti a dire il vero, non solo scrivevano poesie patriottiche in cui "urlavano" all'armi all'armi!, ma poi quelle armi le prendevano e andavano a combattere. A parte alcuni casi: come immaginarsi Leopardi alle prese con un fucile mentre combatte contro gli austriaci? Molto più consono immaginarsi le risate ironiche suscitate dai suoi versi: L’armi, qua l’armi: io solo / Combatterò, procomberò sol io. Come insegna Corrado Guzzanti, Leopardi morirà di gobba, non certo combattendo. Per fare qualche esempio, tra i più noti: Ugo Foscolo si arruola nella Guardia Nazionale e poco dopo rimane ferito a Cento, poi è arrestato perché ritenuto spia austriaca, partecipa alla battaglia di Novi, rimane di nuovo ferito nella battaglia per la difesa di Genova; Ippolito Nievo partecipa all'insurrezione di Mantova, alla rivolta di Livorno, partecipa all'impresa dei mille con la nomina di "intendente di prima classe", affondò con la nave che riportava i documenti della spedizione dei mille; Berchet partecipa ai moti insurrezionali del 1821; Goffredo Mameli, da subito (anche perché non ebbe molto tempo) fu seguace di Mazzini, partecipa alle cinque giornate di Milano. Muore in seguito alle ferite riportate nella battaglia per la difesa della repubblica romana, il 6 luglio del 1849. Due mesi dopo avrebbe compiuto ventidue anni.

- Sì, in effetti andavano a combatte.

Ma, a pensarci bene, il ruolo più importante lo ebbero, se così si può dire, nella teoria e non nella pratica (come stereotipo vuole). Con la miriade di inni, poesie, canzoni, che scrissero in tempo reale, durante gli infervorati anni del risorgimento italiano. Quindi forse la risposta più corretta sarebbe:

- Sì, in effetti andavano a combatte. Ma soprattutto scrissero un sacco di poesie.

Un libro molto interessante, sul tema, è quello Alberto Mario Banti: La nazione del risorgimento. Ve lo consiglio.

sabato 24 settembre 2011

Istantanee replicazioni

In esercizi di stile di Raymond Queneau si parla della famosa foto di Bresson. Infatti il pittore Pierre Alechinsky, in occasione di una mostra in cui testi letterari venivano abbinati agli scatti di Bresson, ha avanzato l'ipotesi che la famosa foto ritragga proprio l'autore degli esercizi, Queneau.
Dietro  Gare Saint-Lazar
Questo perché il luogo dove l'uomo, dal cui punto vista sono narrati quasi tutti gli esercizi di stile (la stessa storia "banale" raccontata in novantanove modi), vede per la seconda volta un ragazzo è proprio la stazione di Saint-Lazare. Nel libro è spiegato che la presenza di Queneau nella foto è possibile (era a Parigi al momento dello scatto e il suo studio è vicino alla stazione) ma poco probabile. Quanto quella di essere tu in una foto scattata vicino al tuo posto di lavoro. Comunque questa foto è una delle mie preferite, forse perché è stata anche una delle prime a rimanermi impresse. Probabilmente la vidi da bambino su un libro di fotografie comprato da mio padre. Ricordo che mi colpì, e non mi chiesi perché. E non lo saprei dirlo con certezza neanche ora. Ma ci provo.
Mi piace perché sembra un aggroviglio di coincidenze. Incredibilmente casuale. Perché ogni particolare sembra lì apposta, non c'è nulla di inutile. Si sa che le fotografie immortalano un istante, irripetibile. E questa istantanea ripete  al suo interno l'attimo che non ci sarà più, tramite riflessi naturali e artificiali. Lo specchio d'acqua divide a metà la fotografia, e moltiplica l'immagine. La sagoma dell'uomo che sta correndo è replicata sotto di lui, ma anche sopra, notando il manifesto sullo sfondo che ritrare un'altra figura nella stessa posa dell'uomo (anche il manifesto è replicato dall'acqua). Di manifesti in realtà ce ne sono due, uguali e attaccati (uno vicino all'altro), ma di quello più a destra dei due ne è rimasta metà, l'altra sembra sia stata strappata. C'è un altro manifesto però, anzi altri due, sempre uguali e sempre attaccati (uno sopra all'altro: variazioni sul tema della replica). C'è scritto "RAILOWSKY",  e non "BRAILOWSKY", il pianista in concerto a Parigi: anche una parte di questo manifesto è stata strappata. E così è rimasto RAIL-OW-SKY, ferrovia e cielo. Il cielo sotto cui si svolge l'istante, e sopra al quale è replicato. E la ferrovia: quella scala gettata sull'acqua dalla quale sembra provenire, come un treno in corsa, l'uomo.
Un istante dopo l'uomo sarà atterrato nella pozza, l'immagine replicata nell'acqua si dissolverà. E avrà ragione l'altro uomo, quello sullo sfondo, che dà le spalle all'attimo.

venerdì 23 settembre 2011

Eternamenti

Ieri ho visto una fotografia, scattata un paio di mesi fa. Anzi mi sa due mesi precisi. Nella foto ci sono io, seduto, il corpo è di profilo e il viso guarda nella direzione in cui punta l'obiettivo della macchina fotografica: verso la cartina appesa al muro alla mia sinistra. Sopra il tavolo, davanti a me, c'è il computer, due o tre guide della Croazia, un pacchetto di tabacco, uno di cartine e uno di filtri.
Dicevo: ho visto questa foto ieri al pc, seduto alla scrivania della mia camera. La vacanza che stavo progettando col mio amico è stata consumata, siamo stati nelle città che avevamo segnato con la matita sulla cartina, ora siamo tornati a casa.
Ieri sulla scrivania, oltre al pc, c'era un pacchetto di tabacco, uno di cartine e uno di filtri. Gli stessi, ma altri.
E questo mi ha messo un po' di ansia.

giovedì 22 settembre 2011

Avanti un altro che c'è poco tempo

Cosa dice la protagonista della canzone al suo amato?
L'altro giorno ho visto un programma che si chiama Avanti un altro. È uno di quei programmi dove vengono poste domande di "cultura generale", di cui abbonda la tivì italiana verso le sette di sera. Non mi sono mai piaciuti questi programmi (dove a detta di molti "si imparano un sacco di cose interessanti") per vari motivi. A parte per l'idea di fondo che è sapere qualcosa per vincere soldi (e per le lacrime, le grida, i salti dei concorrenti che riescono nell'impresa).
Innanzitutto la cultura (se così si può chiamare, viste alcune delle domande poste) non è affatto generale, al contrario. Sono domande dettagliate che propongono una cultura dettagliata, frammentaria e quindi incompleta. Se volessi imparare cose interessanti (e dal mio punto di vista, non da quello degli ideatori delle domande della trasmissione) comprerei un libro (dove le informazioni non sono date sotto la forma di risposte, chiuse).
L'impressione è quella di entrare in una mostra allestita con microscopici dettagli dei quadri: il dito della gioconda, un mostriciattolo di un quadro di Bosh, la lampada-bomba della Guernica. Tu giri e sei lì a chiederti dove sia tutto il resto. Non ti fai un'idea se non  a proposito dell'igiene delle unghie della Mona Lisa, della fantasia di Bosh, e dello strano arredamento che doveva aver Picasso in casa sua. Ma, si sa, lo scopo della tv non è fare cultura ma fare soldi.

martedì 20 settembre 2011

fra intendimenti



- Buongiorno...


- Buongiorno!


- Mi dia 'il fatto quotidiano'


- Oggi non esce!


- Non le ho chiesto 'oggi', le ho chiesto il fatto...il giornale!


- Ah, 'il giornale'! Ecco a lei...


- No...non 'il giornale'. Il giornale che si chiama 'il fatto quotidiano'


- Ah, oggi non esce!


- Va beh ho capito...mi dia 'la Repubblica'


- Se vabeh...e chi so', Napolitano?

Aspettare

Parlerei un attimo di attesa. Tipo quando vorresti che ti arrivasse un messaggio che non arriva, e stai lì a guardare il telefono ogni 10 minuti. E quando poi ti arriva un sms il tuo sguardo si illumina. Che poi vai a leggere ed è l'offerta di una macchina da comprare a rate lustrali, o di un sacco di partite di calcio solo per te.
Roland Barthes scriveva così, in Frammenti di un discorso amoroso :
"L’attesa è un incantesimo: io ho avuto l’ordine di non muovermi. L’attesa di una telefonata si va intessendo di una rete di piccoli divieti, all’infinito, fino alla vergogna: proibisco a me stesso di uscire dalla stanza, di andare al gabinetto, addirittura di telefonare (per non tenere occupato l’apparecchio): per la stessa ragione io soffro se qualcuno mi telefona; l’idea di dover uscire tra poco, correndo così il rischio di essere assente al momento dell’eventuale chiamata riconfortante, del ritorno della madre, mi tormenta. Tutti questi diversivi sono dei momenti perduti per l’attesa, delle impurità d’angoscia, poiché, nella sua purezza, l’angoscia dell’attesa esige che io me ne stia seduto in una poltrona con il telefono a portata di mano,senza far niente."

Bisognerebbe avvertire Roland che, come diceva non mi ricordo chi, l'unico modo per far accadere una cosa è non aspettarsela. Una frase che non è vera, dal punto di vista della storia. Ma dal punto di vista delle persone sì.
Mi spiego con un esempio:

domenica 11 settembre 2011

io...te...mio...tuo...che differenza fa?

Succede che durante un concerto piuttosto movimentato, sotto al palco, si poghi. Così ti trovi a spingere (ed essere spinto) a destra e a sinistra (anche contemporaneamente), a schivare persone lanciate a tutta velocità, a non riuscire a schivarle, a cadere per terra e farti rialzare dalla prima mano porta verso di te (che poi ti darà una pacca sulla spalla, a significare:"si riparte!"), quindi a fare comunella con un tipo mezzo ubriaco e mezzo brillo che ha deciso di sollevare chicchessia sopra la folla per poi passarlo alle mani alzate più vicine.
Però succede anche che il cellulare riposto nella tasca, nella baraonda generale, salti fuori per depositarsi a terra, là dove molto probabilmente in breve tempo passerà una gran quantità di piedi appartenenti a persone impegnate nelle suddette attività. Se sei fortunato te ne accorgi subito e, per quanto rischioso sia, decidi di abbassarti per cercare, nel buio, di recuperarlo. Un altro ragazzo si è accorto dell'accaduto e comincia ad aiutarti. Uno, in piedi, prova a deviare le persone che si lanciano nella direzione dell'altro, accovacciato a cercare. Poi, visti gli scarsi risultati della caccia, vi accovacciate entrambi, lasciandovi però senza difesa. Tra urla, spintoni e piedi imprevedibili trovi un pezzo del cellulare, poi l'altro, aiutandoti con la luce del tuo cellulare. Poi restituisci i pezzi all'altro ragazzo che ti dà un pacca sulla spalla, a significare: "si riparte!"